LA STORIA DELLE RIVISTE DI VIDEOGIOCHI – PARTE I
di Andrea Pachetti

Bisogna fare ormai un grosso sforzo per ricordarsi un tempo in cui la rete Internet non esisteva così come la conosciamo ora, e persino la posta elettronica era utilizzata quasi esclusivamente nelle comunicazioni tra studiosi “in camice bianco”. Pensando agli anni ’80, per avere notizie sui videogiochi le riviste cartacee erano l’unica fonte d’informazione aggiornata: questo e gli articoli che seguiranno vogliono essere un piccolo omaggio a quel momento della storia videoludica in Italia, senza ovviamente nessuna pretesa di completezza.
 
Come tutte le storie che si rispettino, anche questa per essere narrata efficacemente va iniziata dal principio, cioè dalla prima rivista italiana ad avere i videogiochi come argomento centrale; è al Gruppo Editoriale Jackson, in quegli anni protagonista del mercato dell’editoria informatica, che si deve la nascita di “Videogiochi” (o meglio, Video Giochi, riferendoci al logo originale).
 
La redazione era formata dal nucleo storico dello Studio Vit guidato da Riccardo Albini, che lascerà nel corso degli anni una traccia indelebile in questo mercato creando alcune delle riviste più importanti dal punto di vista storico, cioè Zzap!, K e Zeta. Ovviamente non si trattava di un esperimento casuale creato dal nulla: l’ispirazione principale furono senz’altro le riviste-contenitore americane come la storica “Electronic Games”, ma questo evento rappresentò comunque una ventata di novità nelle edicole. Per la prima volta nel nostro paese si creò un movimento spontaneo di club di appassionati, quasi tutti in tenera età, che sommergevano letteralmente la redazione di coloratissime lettere, disegni e fumetti. “Il posto della posta”, così si chiamava la rubrica apposita, era sempre un tripudio di domande curiose che oggi farebbero sorridere (“Cosa compro tra Atari e Intellivision?”, “Quanti colori ha il Coleco?”), ma che dimostravano senz’altro la voglia di imparare a conoscere un mondo nuovo e affascinante.

 

Il sommario tipico di un numero di Video Giochi presentava una struttura che diventerà un classico valido fino ai giorni nostri, con la divisione tra news e notizie varie (la sezione “Ready”) e recensioni vere e proprie, che erano divise tra quelle per console (“A che gioco giochiamo?”) e quelle per gli home computer (“Di fronte al fatto computer”). Maurizio “IUR” Miccoli, esperto videogiocatore e recordman si occupava di dettagliatissime descrizioni dei coin-op (“Al Bar”) e venivano dedicati degli spazi anche ai flipper e ai giochi portatili a cristalli liquidi, completando così la panoramica di quanto poteva offrire il mercato in quel momento.

 

Era un periodo particolare e frenetico, con nuove console e software house che uscivano praticamente ogni mese, molte delle quali risultarono delle vere e proprie meteore. In una situazione simile, avere una guida per gli acquisti era importantissimo e Video Giochi assolveva anche questo compito in modo esemplare, con listini approfonditi di ogni singolo marchio importato in Italia. I lettori erano coinvolti direttamente anche nella realizzazione dei record, da immortalare per i posteri mediante fotografia: uno spazio piuttosto consistente fu dato alle video-gare, sia sulle console da casa sia nelle sfide da sale giochi. Tutti venivano invogliati ad ottenere il punteggio migliore in classifica, grazie anche all’incentivo di un abbonamento gratuito se il record resisteva abbastanza. Questo movimento poi sfociò nella creazione della storica AIVA, l’Associazione Italiana Video Atleti, che si proponeva di formare veri e propri giocatori professionisti, capaci di rivaleggiare con gli assi del joystick statunitensi.
 
Il successo della rivista fu tale da generare presto la voglia di separare gli argomenti trattati, e così nacque uno spin-off chiamato “Home Computer” (HC), della durata di quindici numeri, che si occupava dell’informatica più “seria”, lasciando alla rivista madre le recensioni prettamente ludiche. Nel 1984-85 i riflessi del crash dell’industria statunitense si fecero sentire anche in Italia, e le tre console più vendute del periodo, Atari VCS, Intellivision e Colecovision vennero purtroppo dimenticate quasi subito dagli appassionati, attratti dalla maggiore espandibilità dei piccoli-grandi computer e dal minor prezzo dei loro supporti (audiocassette e floppy).

 

Il gruppo Jackson cercò quindi di rinforzare la propria rivista principale facendo confluire in essa l’argomento computer: chiuse HC e chiamò la nuova incarnazione “Videogiochi & Computer”, a partire dal numero 29. Purtroppo la parabola discendente era ormai inevitabile e l’avventura si concluse con il 37 del settembre 1986. Le successive versioni di “Video Giochi”, tra le quali vale la pena ricordare la curiosa edizione “poster” in formato A3, ebbero una vita editoriale piuttosto breve e non seppero imporsi sul mercato. Lo Studio Vit nel frattempo aveva già spostato i suoi interessi su una rivista inglese di grande successo, chiamata Zzap!64…
 
NOTA: l’articolo è stato pubblicato originariamente sul n.2 di Gamers, edizioni Hobbymedia. I diritti sul testo appartengono esclusivamente al sottoscritto e non all’editore, per cui qualunque uso è soggetto alla licenza Creative Commons riportata in calce.
 
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